L’angolo del terapeuta – ii

CURANDERA

di Monica Guarise – Ifrep Mestre

 

Ho un discorso aperto con lo specchio stamane, “ ma io non sono così brutta…” , gli dico quasi gridando; ma lo specchio imperterrito mi rimanda due occhiaie silenti, un ciuffo che sbuffa in testa e copre un occhio, una ruga triste che fa da cornicetta all’angolo più spiritoso della mia bocca semi tirata…

Eppure ho dormito!

Allora cos’è che si agita così tanto nella mia mente, nel mio corpo, da darmene inequivocabilmente questi segni-segnali davanti allo specchio?!

Ripenso a cosa ho fatto ieri: ho lavorato.

A cosa ho fatto l’altro ieri: ho lavorato…

A cosa ho fatto l’altra settimana: ho lavorato!

A cosa faccio ripetutamente da 20 anni: ho lavorato!!!!

Ma dov’è il problema?

Mi viene in mente una frase di Etty Hillesum, “ si vorrebbe essere balsamo per molte ferite”.

Si, lavoro, come tutti… ma lavoro con le vite ferite e ne vorrei essere balsamo…e io invece spesso faccio tanti errori!

E’ questo che mi agita.

Ci sono i pazienti, le loro vite e soprattutto le loro emozioni che ogni giorno mi attraversano dentro, si fanno un giro nella mia ferrari-mente testa rossa e poi ri-escono più rombanti che mai.

A volte mi sento un garage… un rifornimento di benzina!

Ci sono le loro piccole manie, le parole che usano più spesso, le espressioni che li abitano e li caratterizzano.

Ci sono i drammi che aspettano di essere cuciti, una speranza che va restituita, una compassione ancora tutta da vivere per chi ha fatto del male o si è fatto male.

E poi ci sono io.

La mia vita accanto alla loro.

Da terapeuta…una curandera!

Certo, come seri professionisti abbiamo la nostra supervisione e terapia per autosostenerci e per essere a nostra volta accuditi in quei neuroni ciechi che smettono di vedere o scorgere le vie d’uscita dal Copione.

Abbiamo la nostra vita privata come tazza piena di latte e miele da monitorare, perchè come diceva Jonh McNeel “ quello che diamo ai nostri figli, ai nostri pazienti, è quello che straborda dalla tazza e non quello che c’è dentro…”

Ma il mio specchio stamane dice che non basta…c’è bisogno di qualcos’altro.

Mi ritorna in mente un vecchio libro che aveva come titolo, “La profezia della curandera” di Hernan Huarache Mamami. In questo libro la protagonista intraprende un percorso di confronto con un curandero, che la condurrà a farle ritrovare l’energia che ha in sé e a recuperare l’armonia perduta. Le esperienze vissute dalla protagonista sono applicabili a qualsiasi donna, persona: come racconta Hernàn Huarache Mamami, in ogni donna si trova una forza, un’energia interiore che serve solo essere riconosciuta ed espressa a pieno.

Il lavoro della curandera/o (terapeuta, coach, counsellor, medico) non è nient’altro che quello di aiutare a ri-scoprire, ri-trovare, ri -sentire, ri-appropriarsi della propria energia vitale, la natura, il principio di autocura, quella che Berne chiamava Pyshis, quella che noi terapeuti assistiamo con cura tutti i giorni nei nostri pazienti.

Ma è soprattutto ri-parare, porre rimedio almeno in parte a un male, un danno, un errore, dare riparo, fornire protezione…

Il male cammina accanto al bene nella vita, il dolore co-abita insieme alla gioia, e la mano sinistra tante volte non sa cosa fa la mano destra.

Siamo umani, vulnerabili, sbagliamo, cadiamo, inciampiamo, anche con il cuore rivolto alle più buone delle intenzioni e quindi urge più che mai imparare a ri-parare, imparare a trovare quell’ago e filo che cuce, ricuce, dona alla vita gli strappi, per poterseli vedere restituiti come giunture, cardini che ancora girano, legamenti che fanno muovere vite/i, rapporti umani, reciprocità…

Urge imparare l’interdipendenza: io tengo il filo, tu l’ago e poi un’altra volta facciamo cambio, tu l’ago e io il filo…

Urge trovare fili, cercarli nella nostra mente che sa vedere l’altro in modo compassionevole, che sa accettare i propri limiti, per accogliere e capire quelli degli altri.

Urge perdonarmi, lasciar andare quei ricordi che fanno male, tutto il balsamo che non ho saputo dare e ricevere…

Sapientemente la memoria viene in aiuto con una bellissima poesia di Chandra Livia Candiani

che dice:

“ Il dolore degli altri non mi sta in mano

e nemmeno in gola,

più che altro sta nel petto

nella sua memoria

luogo schivo che fa stazione

   che scartavetra le fughe…”

(da Fatti vivo, Einaudi 2017)

 

Si ho capito, l’ingrediente che mi manca stamane è la tenerezza.

Per ri-parare ci vuole un’ingrediente speciale: la tenerezza.

Per me, per la mia vita, per il mio essere questo luogo schivo che fa stazione, per tutti quei giorni che ho scartavetrato fughe, pulito e riordinato, per il mio petto che è sempre più largo, e custodisce tutti gli abbracci del mondo…

Tenerezza sarà la crema che stamane metterò sulla faccia…

Tenerezza sarà lo sguardo per i miei capelli che non stanno.

Tenerezza sarà il ciao dolce con la mano che farò a quella foto appesa sopra il mio divano,

di me piccola…

in quello spazio di carità per le mie ferite, i miei errori.

Tenerezza per il mio destino

e di me ora

… curandera.