Psicolibrando… e non solo! (1)

Solitude standing

di Mariella Rizzi 

Una recente mostra dedicata a Edward Hopper ha riportato sotto i riflettori questo protagonista della pittura del Novecento. Anche se la mostra ha chiuso i battenti a Roma lo scorso 12 febbraio, il lavoro di Hopper è ampiamente “rintracciabile” sul web, dunque abbiamo pensato valesse la pena offrire comunque qualche suggestione, qualche “amo” per una possibile interessante “pesca”. Se ci lasciamo catturare, scopriremo che sì, evidentemente Hopper racconta l’America del suo tempo, ma lo fa attraverso opere che diventano simboli della solitudine umana.

I temi affrontati sono quelli della moderna vita quotidiana, gli scenari sono quelli degli spazi urbani, interni ed esterni, descritti in modo fortemente evocativo ed allusivo.

Come in una scena onirica, coglieremo che le cose e le persone rappresentate sono trasfigurate e noi spettatori siamo coinvolti, presi nell’atmosfera di un luogo o attratti nella situazione emotiva di quegli sconosciuti.

I personaggi di Hopper, figure sempre riconoscibili e realistiche, diventano archetipi o, se preferite, stereotipi. Sono passanti, inquietanti avventori di ristoranti o donne sole in stanze vuote e sembrano tutti assorti nei loro pensieri, con il capo chino o lo sguardo rivolto a un orizzonte lontano. A volte li guardiamo di fronte, altre volte di spalle, oppure ci ritroviamo proiettati dentro una scena vuota, costretti ad assumerla da un punto di vista soggettivo. Spesso la luce è intensa, naturale o artificiale, e concorre a trasmettere una sensazione d’inquietudine e incomunicabilità: come se avessimo acceso la luce per un momento su una storia di cui intuiamo qualcosa ma che rimane sostanzialmente misteriosa e ambigua.

Anche nei dipinti e negli acquerelli con soggetto paesaggistico, che siano case, pompe di benzina o marine con fari, gli stati d’animo sono il vero oggetto della rappresentazione di Hopper: la realtà è colta e reinventata in un “momento presente” denso di sensazioni cristallizzate.

A questo potente immaginario il cinema ha attinto a piene mani: da Hitchcock a Wenders, da Lynch ai fratelli Cohen, dai nostri Antonioni e Argento ad Altman, è piuttosto lunga la lista dei registi che hanno imparato molto dai quadri di Hopper e continuano ad ispirarsi al suo lavoro.

“Solitude standing” è il titolo di una vecchia canzone di Suzanne Vega. Sarebbe una buona colonna sonora per dipinti come questo.

 

Hopper

 

Portiamo con noi, anche nel Ventunesimo secolo, questo sguardo malinconico, inquietante e “spiazzante” che ci apre a un contatto più profondo con noi stessi e i nostri simili.

Ne vale la pena.