Psicolibrando… e non solo! (2)

Artemisia Gentileschi: pathos, passione, determinazione

di Domitilla Spallazzi

 

Artemisia Gentileschi, la maggiore pittrice donna del Seicento! A Roma, a Palazzo Braschi (fino al 7 maggio 2017), circa 100 opere e due video conducono il visitatore in un percorso di conoscenza della sua vita e della sua opera, mostrando come Artemisia sia stata un’artista che ha saputo superare i limiti angusti riservati alle donne del suo tempo.

Gentileschi

Nella vita professionale lo ha dimostrato in vari modi: coltivando con passione l’amore per la pittura, arte rigorosamente riservata agli uomini; scegliendo i soggetti dei suoi dipinti e affrontando temi complessi della storia, del sacro e del mitologico, senza limitarsi ai ritratti e alle nature morte, ritenuti più adeguati per le artiste donne. Inoltre, in un mondo che non permetteva alle donne di frequentare scuole d’arte, è stata la prima nella storia ad essere ammessa, nel 1616, all’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze.

Anche nella vita privata ha sfidato le pressioni sociali e culturali, portando avanti con forza la propria rivendicazione di donna. Violentata all’età di 17 anni, ha affrontato con coraggio e determinazione il processo per stupro contro il suo aggressore, Agostino Tassi, collega del padre e ospite abituale della loro casa. Pur di vedere riconosciuti i propri diritti, è andata incontro ad un lungo ed umiliante processo, nel corso del quale subì ulteriori umiliazioni e violenze: fu obbligata a visite ginecologiche pubbliche, fu costretta a sottoporre la sua testimonianza alla dolorosa prova della “sibilla”, riconosciuta valida per accertare la veridicità della deposizione, ”non può farti del male se dici la verità”… Si trattava di una tortura che consisteva nel legare attorno alla base di ciascun dito, con le mani palmo contro palmo, delle cordicelle da stringere progressivamente fino a segare la pelle. Tale tortura avrebbe potuto impedire ad Artemisia di usare le dita per sempre, ma essa dimostrò grande fermezza, non indietreggiò, non ritrattò la sua deposizione e vinse il processo (altro fatto di non poco conto per una donna!).

Artemisia è divenuta così il simbolo del femminismo e della ribellione al potere maschile.

Ogni quadro di Artemisia Gentileschi è il frutto di una ricerca interiore combattuta e sofferta, dove le caratteristiche delle donne da lei rappresentate portano in volto e nei gesti anche la sua sofferenza ed il suo coraggio di insorgere contro le costrizioni e le convenzioni alle quali lei stessa voleva ribellarsi.

La Gentileschi è considerata un’artista di scuola caravaggesca per la sua capacità di ritrarre la figura umana, in particolare quella femminile, la quasi totale assenza dell’idealizzazione, la ricorrenza di sfondi scuri sui quali si stagliano figure di un’abbagliante lucentezza, i suoi magistrali giochi di luce ed ombra tendenti ad esaltare soprattutto le stoffe e i drappeggi, la predilezione per un particolare studio del colore.

Tra i tanti dipinti in cui la si può apprezzare uno in particolare sintetizza, a mio avviso, la sua esperienza, l’Autoritratto come allegoria della Pittura. Qui Artemisia, assorbita anima e corpo nel suo lavoro, restituisce l’immagine di una donna-pittrice che lotta per il rispetto di sé, non lasciando rinchiudere la verità ed il talento in recinti sociali che reprimono la vita e l’espressione di sé.

A lei sono dedicati libri e film, come il romanzo La passione di Artemisia di Susan Vreeland (2002) o il film Artemisia-Passione Estrema di Agnès Merlet (1998).